Passa ai contenuti principali

POINT DE FUITE -Parte Seconda - di Davide Fucci


[CLICCA QUI PER LA PARTE PRIMA]

Le lettere non forniscono, oggi, nuove chiavi ermeneutiche: non esiste, nel mercato librario -locuzione adattissima -, una proposta rivoluzionaria, differente, sinceramente altra rispetto a tutto ciò che già c’è.

Perché? Il quadro sociale in cui l’artista si trova a spaziare ha metabolizzato benissimo le spinte opposte acquisite dagli ultimi cento anni, normalizzandole.

Per un secondo, usciamo dalla letteratura, e facciamo un esempio: i Maneskin vincono a San Remo. Non disdegno stupidamente i fatti quasi cronachistici o le espressioni più vicini ad una forma popolare di cultura che oggidì si definisce commerciale -a buon diritto - perché vorrebbe dire chiudere gli occhi sulla realtà in cui viviamo, perdendo a priori ogni velleità di comprensione, per quanto limitata.

Dicevamo: i Maneskin. Questa giovane band, che fa forma del contenuto e viceversa, riprende naturalmente le espressioni rock del secolo passato, che nel contesto storico furono un momento di enorme rottura: non era soltanto la musica ad essere profondamente diversa, squassante, dura, ma anche la vita dei rocker, sempre al limite, all’eccesso, così diversa dal quadro culturale contro cui entrava in conflitto con la forza prorompente di un cuneo di cavalleria. Cosa rimane di tutto questo nei Maneskin? La forma, forse, e null’altro, senonché, quantomeno, un apprezzabile talento musicale.

La differenza sta nel fatto che la nostra cultura, come dicevamo, ha accettato, normalizzato, quegli elementi, i quali non sono più dirompenti ma classici, canonici; rientrano nell’orizzonte d’attesa, non aggiungono più nulla di quanto già non ci si aspetti o non si sappia.

Questo vale anche per tutte o quasi le espressioni letterarie con cui ci si trova a fare i conti: non è una novità la presenza di romanzieri o poeti i quali altro non facciano che fungere da specchio irriflesso della propria formazione culturale, fenomeno apprezzabile da quando esiste, almeno in Italia, una circolazione accettabilmente ampia del prodotto letterario (metà ‘800) e quindi una certa vitalità del mercato editoriale. Eppure, accanto a queste pubblicazioni, mancano personalità forti: uno degli autori più piacevoli da leggere è, a mio parere, Carofiglio, ma certo non fornisce nessun altro utile se non, appunto, un certo diletto narrativo e formale. Cosa cui certo le lettere tendono sempre -ce lo insegna anche il buon Manzoni -, ma che non è di per sé sufficiente a rendere altrimenti la grandezza “classica” di un’opera, un proprio ragionevole valore artistico.

Il rischio che corre chi sceglie, avendone le capacità, la reinterpretazione originale del proprio patrimonio culturale o del proprio contesto sociale -o di quello futuro - è l’incomprensione del pubblico ampio, che può non essere ancora dotato di quegli strumenti interpretativi per decodificare un certo tipo di linguaggio. Tuttavia, ciò che salva l’autore dalla quiescenza storica è l’effetto comunque forte del suo prodotto: quanto provoca una reazione, sia positiva che negativa, causa nel reagente un flusso di umore ed il conseguente giudizio piuttosto che l’indifferenza, esito mesto delle cose senza valore.

Italo Svevo -al secolo Aron Hector Schmitz – non ebbe grande fortuna finché Montale, ad esempio, ne avvertì, grazie anche all’interesse fortissimo della sua amata Mosca, la forza prorompente, l’originalità, la modernità ed internazionalità di quel modo di fare letteratura, apertissimo alle influenze tecniche ed alle culture straniere -e relative lingue/strutture lessico-sintattiche – addirittura più che a quella italiana, almeno nelle prime edizioni. Tratti, questi, soprattutto il primo, che unirono figure come C.E. Gadda, Montale stesso, Svevo, Pavese -basti ricordare l’ammirazione sconfinata che Montale ebbe per Elliott -.

Questo rischio d’incomprensione, oggi, è tanto più forte perché, ove mai sia, il polo opposto dell’universo culturale, quello da occupare, è vuoto. Attorno ad esso, come abbiamo appurato, convergono con traiettoria ellittica ma sideralmente lontana, in una sterile nebulosa, tutti i carofiglio-simile -non me ne voglia il nostro – e la pletora infinita dei buoni romanzieri e poeti da quiete letture a lume d’abat-jour.

Non dobbiamo fare colpevoli costoro di ciò che non vogliono o non possono fare: infatti, o non ne hanno le capacità, oppure, qualora le abbiano, preferiscono un’arte più tiepida, confortevolmente adagiata su un pacifico consenso di pubblico, impegnata a dare un delicato colpo di pennello su una tela già calcata da innumerevoli tempere. Preferiscono, in fin dei conti, la lettura culturale in cui si sentono pienamente iscritti e della quale si vedono parte non solo strutturale ma attiva, confermativa, vitale entro i limiti riconosciuti e bellamente accettati.

Non si può chiedere, cioè, un cambio di prospettiva radicale a chi possiede di già una prospettiva, seppure poco originale, consolidata ed accettata della realtà in cui vive: né si può idealisticamente bollare come sbagliata una visione della realtà cui ci si oppone, in un gioco così soggettivo come quello letterario.

Fatto sta che siamo disperatamente carenti di un’alternativa, molto più dell’aria fresca.

Qual è il punto di fuga verso cui convergeranno il disagio sociale, intellettuale, umano e soggettivo, di fronte ad una lettura del reale che, se non vogliamo dire sbagliata, concorderemo insufficiente?

Manca innanzitutto la consapevolezza del disagio, l’elaborazione letterario-artistica del disagio. Il vuoto della poesia si avverte più profondo che mai su questa tematica: l’avvertimento della contraddizione è il suo primo compito o, molto meglio, la sua più splendida peculiarità, almeno in epoca moderna. La mancanza attuale rispetto alla presenza passata rafforza questo divaricamento.

L’avvertimento della contraddizione è utile sia per un’indagine sociale, sia per un sondaggio squisitamente umano/umanistico. Il rapporto fra l’anima dell’uomo singolo, tra quel mosaico di affetti, passioni, conoscenze, rapporti interpersonali, quell’accumulo di atteggiamenti diversi, del peso della memoria, e l’ombra di un’inquadratura etico-morale nella quale ognuno sente il bisogno di inscriversi, producono un inconfessabile bifrontismo che è modernissimo e prediletto terreno d’indagine poetica. Il primo esito di questo conflitto è la parola poetica, come involucro razionale minimo della fluida irregolarità delle persone nella persona, tanto minimo quanto più vicino all’irrazionale si è tentato di porlo; è parola singola, è -per quanto vago - legame, rapporto, ragione al livello più scabro, puro, convenzione minima, quanto più piccola tanto più capace di svelare quel tentativo razionale di rendere comunicabile ciò che non lo è. 

Ci sembra difficile che la poesia, oggi, possa prendere su di sé quel magnifico messaggio etico-sociale che pure ha accompagnato nella storia della nostra cultura, non foss’altro che per la frammentazione che l’orizzonte etico adesso sopporta come proprio tratto distintivo. Il destinatario del messaggio, in poche parole, sarebbe di pochissimo conto o, talvolta, non vi sarebbe affatto. Ciò che rimane in comune, ciò che si può scandagliare, ciò che il poeta può esprimere sperando di produrre qualcosa che abbia un valore non solo per sé è, contraddizione anche questo, proprio l’esperire personale delle cose del mondo, la forma che i colpi degli accadimenti incidono nell’anima, i crateri che ne rimangono, il corpo lunare risultante: l’espressione di ciò che l’uomo sente vivendo nel contesto comune, al di fuori della singolare collocazione sociale, dell’orizzonte etico. Quello che la persona sperimenta vivendo in condizioni vagamente comuni. I grandi problemi dell’uomo contemporaneo non possono più sfuggire a questo vaglio interiore e, contemporaneamente, in un certo senso, universale.

Il panorama poetico attuale manca di tutto ciò; quanto emerge è sparuta ed epigrammatica espressione del capriccio umano dell’uomo comune. È il cantico d’un gallo che canta, si cheta, poltrisce. Trattandosi di poesia con destinazione ampissima, non dovrebbe stupirci, e non ci stupirebbe, se non per la mancanza totale di capillare diffusione d’altro.

L’orizzonte internazionale appare quantomeno velato da refoli giovanili, impegnati nella lotta civile per alcuni diritti e contro una certa emarginazione sociale che, in fin dei conti, è in primis economica; queste prospettive, tuttavia, se sono confutabili anche in culla, ideologicamente, certo non ci possono appartenere, perché non alternative, ma altre da noi. Nonostante il mio amore e l’ammirazione sconfinata per la forza poetica e la vita di Nazim Hikmet, non m’azzarderei mai a proporlo come modello d’imitazione sic et simpliciter perché onoratissimo germoglio di un orizzonte culturale e sociale passato e diversissimo. Sarebbe possibile, ed anzi auspicabile, una rielaborazione consapevole, senza anacronismi, che sappia rivolgersi al presente o, meglio, che sappia rileggere ciò che il presente implica con un linguaggio differente ma non decontestualizzato.

La sistematizzazione e l’indagine propria dell’uomo, sia in sé sia nel contesto sociale e del contesto stesso, invece, ci sembra peculiare del romanzo o, comunque, della prosa. La sua capacità di indagare a fondo ogni possibile aspetto della realtà, ogni dettaglio, ogni registro stilistico, il suo bagaglio storico, la sua maturità letteraria lo mette di diritto di fianco alle più splendide scene del teatro moderno.

La prosa che manca è un realismo teatrale.

SEGUIRA' PARTE TERZA


Commenti

Post popolari in questo blog

ELOGIO ALLA VITA di John Macklemore

  Oramai è da molto tempo che le nostre vite sono state messe alla prova: la dedizione, il coraggio e la tenacia che sostengono i nostri nobili ideali rafforzano contemporaneamente quell'ardente desiderio di cambiamento volto a scoprire e ricercare nuove chiavi di lettura che, con ingegno e fantasia, riescano a svelare gli infiniti misteri che permeano la Vita, la Natura e l'Universo. Creare continue connessioni fra gli elementi del reale e dell'immaginario, valorizzate da un continuo dialogo fra credenze e saperi delle varie culture, ponendo come assunto fondamentale l'immutabile ed eterna staticità del cambiamento. Infatti, ogni singola conoscenza sviluppata e reinterpretata nel corso dei secoli ha sempre avuto come obiettivo quello di fare interagire il passato, il presente ed il futuro ricercando perpetuamente quell'armonia che mette in connessione le nostre emozioni, i nostri sentimenti e la nostra ragione con ogni elemento visibile ed invisibile, avendo co

COMUNISTI, ULTIMA CHIAMATA di Moreno Pasquinelli

  «Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te». Ernest Hemingway Con lo spauracchio della pandemia il governo Draghi ha prolungato lo Stato d’emergenza e, col cosiddetto “green pass”, ha reso  de facto  obbligatoria la vaccinazione di massa. Con una fava due piccioni: si istituisce uno strumento politico di controllo e discriminazione sociale facendo così compiere un salto di qualità all’inveramento di un orwelliano Stato di polizia. Guai a chi nega che qui ci sia un  salto di qualità . Dicemmo, l’anno scorso, che entravamo in un territorio inquietante e sconosciuto. Ora i timori più terribili iniziano a prendere forma. Che il “green pass” sia un diabolico strumento di discriminazione sociale lo dicono quelli stessi che lo hanno concepito.  Draghi docet : “Chi non si vaccina porta la morte”. Chi rifiuterà di diventare cavia di pseudo-vaccini sperimentale; chi non metterà il suo corpo a disposizione del governo; chi intende disobbedire al comand

CONTRO LA GENERAZIONE NICHILISTA di Billy Piorrea

Mi rivolgo soprattutto a quelli della mia età e generazione, noi abbiamo il potere di cambiare le cose in futuro, abbiamo la responsabilità di farlo. Per troppo tempo ci siamo disinteressati della vita sociale, per troppo tempo abbiamo pensato solo al nostro personalissimo tornaconto e ci siamo adagiati su comodità illusorie che semplificano la vita e allo stesso tempo la distruggono. Mi rivolgo alla mia generazione, la generazione social e xanax dipendente.  Continuiamo pure a comprare online su amazon, a guardare netflix a sostenere x factor e la serie A, cintinuamo cosi. Un giorno quando usciremo per strada e ci accorgeremo di essere soli perché tutti i locali sono chiusi forse ci renderemo conto del mondo che stiamo criminalmente creando, tutti noi, nessuno escluso. Quando le scuole e le università diventeranno centri militari di formazione, quando gli ospedali saranno luoghi di morte invece che di cura, quando nessun bar sarà più aperto, quando nessuna musica dal vivo sarà più suo