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GIOVANI ED UNIONE EUROPEA di Filippo Dellepiane

Ecco un argomento di cui certo non è facile parlare. Proviamoci, tuttavia, con l’ausilio dei dati. Chiaramente -necessaria puntualizzazione - a differenza dei nostri nemici li utilizzeremo soltanto come rampa di lancio per una trattazione che si spera più approfondita, né banale né semplificante.


Secondo una ricerca condotta da EP-Eurobarometer - poco più del 40% dei giovani italiani ha un’opinione positiva sull’Unione Europea. A fronte, dunque, di un 60% scarso che ha un’opinione più o meno negativa sull’Europa politica. I dati sono anche soggetti alle fluttuazioni relative alla pandemia, che ha avuto il “pregio” di mostrare a fasi alterne il vero volto diabolico dell’Ue.

Visto che i dati vanno però interpretati devo subito rilevare alcune incongruenze, dalle quali possiamo iniziare un’analisi che pretende di essere un minimo dettagliata.

Anzitutto, quelle percentuali non possono essere prese troppo seriamente per alcuni motivi molto semplici: in primo luogo, la qualità del campione ed il dove -cioè in che area del continente e del nostro paese nel caso specifico - sono state condotte queste interviste. A Milano ci sarà tendenzialmente un’opinione piuttosto positiva dell’UE e dell’Eurozona. In alcune zone del Sud troveremo, in linea di massima, un’opinione negativa, in primis verso lo stato italiano e poi verso l’Ue.

Anche all’interno della stessa città possiamo talvolta trovare, dicendo il lapalissiano, alcune contraddizioni: il pariolino avrà espresso un’opinione diametralmente opposta rispetto al ragazzo inacidito di borgata. La questione è, in questo caso, economica e non certamente ideologica: scovare giovani che si schierino contro l’Ue e l’euro per questioni di altro tipo è possibile soltanto in ambienti fortemente politicizzati, dunque in una sparuta minoranza. 

Brevemente? In alcuni settori della sinistra radicale e, ben più spesso, nelle aree di destra “dura”(a dimostrazione, checché se ne dica, che almeno fra i giovani esiste ancora la contrapposizione destra sinistra). Un discorso, quello della polarizzazione della critica all’Europa, comunque valido anche per i più adulti fino a poco tempo fa.

Anche negli ambienti ultra-europeisti giovanili (VOLT) viene condotta una critica serrata all’Ue per non essere abbastanza radicale e per l’“eccessivo” spazio dato agli stati nazionali.

Qual è però il dato più preoccupante? Esso consiste nel fatto che mentre il blocco degli “euroinomani” è forte e saldo sulle proprie posizioni, l’ala più “euroscettica” (chiamiamola così d'ora in poi) non ha motivazioni valide per schierarsi contro la gabbia europea: sia perché non vuole porsi il problema -ed è quindi come una persona al cospetto di una costruzione troppo più grande e potente, dentro alla quale si sente piccola ed indifesa- sia perché ha assorbito come una spugna tutto il veleno della propaganda.

E' certamente il secondo problema ad essere il più preoccupante, perché il potere ha messo una spunta con su scritto “fatto!” accanto ai giovani. Nella lista della spesa i ragazzi sono stati certamente i più facili da trovare negli scaffali e da convincere. Come invertire questa tendenza? Credo che solo un aggravamento della situazione economica, con un relativo sconforto anzitutto dei genitori, possa scalfire almeno un minimo questo muro e portare un po’ di coscienza. Pensate, per darvi la misura della sconfitta, che la narrazione europeista si è ben infiltrata anche fra le compagini più acculturate della politica giovanile che si definiscono “anticapitalista” o “antiglobalista”. Tuttavia, una volta che nel proprio corpo è entrata la tossina, solo uno studio costante e finalizzato ad una vera comprensione della realtà può fermare la malattia.

Ad ogni modo il problema è l'attrattività: l’Unione Europea è certamente una ghiotta vasca di dolci. Dolci che, se mangiati in quantità, fanno però star male. Paragonate questo esempio triviale al classico scenario, valido fino a prima della Brexit ma che qui ci torna utile, del “lavapiatti in Inghilterra”: è stato attratto dalla City di Londra, dall’esperienza dell’Erasmus e dalle belle ragazze che si incontrano all’estero. È finito sfruttato, moralmente a pezzi o, nel peggiore dei casi, è diventato uno schiavo felice, caso in realtà molto frequente dietro al quale ci si nasconde con frasi quali “resilienza” o “la via del successo è impervia e va percorsa tutta”.

Una prospettiva euroscettica può mai essere attraente? Se mi pongo come estraneo che non conosce i meccanismi europei vi dico, senza l’ombra di dubbio, che la prospettiva di rimanere nel mio paese non è certo allettante. La strategia è stata dunque duplice: rendere arido il nostro paese, preservando solamente alcune zone produttive utili allo sviluppo dell’Eurozona, così da rendere obbligata la scelta fra la povertà qui o la fuga all’estero. Ironia della sorte? La povertà la si incontra anche all’estero, al più tardi subito dopo l’università, ma almeno sarò morto vedendo Parigi e Berlino, parafrasando la famosa frase di Goethe su Napoli.

Insomma, la contraddizione più lampante è che la maggioranza dei giovani europeisti (almeno all’apparenza) abbia validi motivi per preferire un accentramento del potere a livello europeo, mentre chi ha un’opinione negativa al progetto dell’Unione oltre a trovarsi in minoranza non sembra avere ragioni che possano sfondare e fare breccia fra i più, ma soltanto un passivo e sterile disaffezionamento per ogni tipo di ente statuario o istituzione. Quest’energia non è utile come combustile, ma al caso per costruirsi la propria torre d’avorio.

Dal grafico inoltre constatiamo come i paesi più in crisi economica abbiano, a quanto pare, fasce giovanili non certamente entusiaste dell’Unione Europea. In realtà vi sono varie eccezioni, come quello della Spagna (sic!), che ha sofferto moltissimo per colpa della recente e mai terminata crisi economica.

Come è possibile allora che questo paese si trovi fra i primi posti dei paladini dell’europeismo? Azzardo che sia dovuto principalmente al processo di terziarizzazione e turisticizzazione che avviene ormai da anni nei paesi mediterranei che fa sembrare ottima la prospettiva di un’area comune europea in cui vi sia libero scambio di persone e capitali. Un processo a cui in realtà assistiamo anche in Italia e che il grafico solo parzialmente sconfessa, poiché la realtà fattuale (e non “i dati”) ci dimostrano che il Bel Paese potrebbe essere benissimo appaiato ai primi posti, secondo il modestissimo parere del sottoscritto.

Ad ogni modo, il segnale più grave è che le colpe non sono mai imputate all’Europa dai giovani: costoro, tartassati dalle notizie dei media che denunciano proprio questo atteggiamento del “eh ma è colpa dell’Europa”, tentando di distinguersi dalla massa “degli adulti che ci hanno lasciato un mondo orribile”( cit. Greta*), con una becera, nonché qualunquista, posizione si scagliano contro le istituzioni nazionali, tirando fuori dal cappello mirabili esempi di paesi votati al progresso in altre zone dell’Unione che aderirebbero a chissà quali valori dell’Europa. Quali, di preciso, non si sa. Questo atteggiamento è in realtà frutto di una dottrina filosofica impartitaci fin da piccoli, che in piccole dosi probabilmente non sarebbe neanche nociva, secondo la quale se qualcosa non va per il verso giusto dev’essere sempre colpa nostra, dimenticando così che nella nostra vita (ma soprattutto nei rapporti fra stati) vi sono fattori oggettivi che scendono in campo e determinano situazioni ben precise. Condiamo poi il tutto con un’abbondante spruzzata di autocommiserazione, disinteresse per il proprio territorio e per la propria terra e arriviamo alla situazione odierna. 

Semplice, no? Sono bastati solo quindici anni perché si garantissero potenzialmente degli “Ultras” europeisti per almeno altri quaranta.

*un’osservazione: l’utilizzo strumentale della patologia del ragazzo di Fano, la stessa di Greta Thunberg, per screditare ciò che diceva è la rappresentazione più lampante di quanto e cosa possa arrivare a fare una struttura politica.


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