Le misure di coercizione sociale ed economica
dichiaratamente volte ad arginare l’espansione del contagio da COVID-19 non
sono il frutto casuale ed imprevedibile dello stato d’emergenza in cui, di
fatto, viviamo da più di un anno.
Lo stato miserevole in cui il già indebolito tessuto
economico italiano versava prima del fatidico Marzo 2020 a causa delle
politiche neoliberiste dell’ultimo ventennio, inaspritesi poi nell’Era Troika e Patto di Stabilità, si è rivelato terreno friabile nei
confronti del fiume COVID-19, la cui azione altra non è stata che facilitatrice
-casualmente, ma, si sa, in politica come nella storia umana il
caso e l’occasione contano molto, soprattutto quando ci sono già le premesse
per cui esso si manifesti favorevolmente ad esse- rispetto all’indirizzo che le
cose avevano già preso.
Gli squilibri economici interni all'Eurozona, determinati dalla valuta
unica applicata su economie diversissime fra loro -ciò perché i meccanismi
import-export interni venissero polarizzati verso le nazioni che avevano una
moneta meno svalutata - nonché dall’impossibilità di ricorrere politicamente al
controllo della banca centrale comunitaria, condizioni che hanno traslato le
ricchezze del Sud Europa verso i frugali cugini nordici (come si diceva:
economie a moneta svalutata vs economie a moneta forte, ricordando sempre che
ogni stato sovrano svaluta o rafforza la propria moneta a
seconda dei propri tipo e possibilità economici), non avrebbero portato a
nessun’altra conclusione che quella vigente oggi, soltanto drammaticamente
accelerata dalla variante pandemica.
È chiaro che non si esca dall’imbuto in cui si sta
precipitando, più o meno consapevolmente (quando il pane manca è
difficile non accorgersene: si vedano le proteste del
movimento IOAPRO, a Roma), con la stessa ricetta economica che vi ci stava
portando.
La soluzione a questo problema è stata presto trovata: se la
pandemia ha evidenziato la vera e fondamentale costruzione sociale
contemporanea (la polarità garantiti vs non garantiti), rendendo patente quel
conflitto percepito ma espresso più come una sorta di ironia che
non altro, le piazze di non-garantiti verranno placate con
un’ulteriore divisione.
Tra i non-garantiti, saranno istituiti i ristorati; alcune
categorie di non-garantiti, cioè, riceveranno la salvezza (la boccata
d’ossigeno prima di essere messi con la testa sott’acqua quando saranno
sacrificabili di nuovo), mentre i non-ristorati saranno destinati alla
quiescenza fatale, portando avanti la politica liberista di massificazione e
distruzione di quel piccolo ceto imprenditoriale che ha fatto la fortuna
economica del nostro Paese.
Questa operazione -che certo sarà prossima, perché l’innato spirito corporativista di ogni padrone di bottega arriverà a
comprendere quanto i ristori non servano
neppure al pagamento degli arretrati, quanto il rilancio possa dipendere
soltanto da un piano economico espansivo con emissione di moneta sonante (o
frusciante, o luminosa), rendendo impossibile divide et impera di chi siede sugli scranni curuli– distruggerà
il fronte che si è momentaneamente ed instabilmente unito in nome della
sopravvivenza.
Il nostro compito storico, oggidì, è tenere unito questo
fronte, compattarlo, fornirgli consapevolezza politica e, quindi, unità di
scopi e di mezzi, in attesa che quest’azione ed i tempi propizino l’occasione
di una svolta necessaria, pena la distruzione del nostro tessuto economico
come oggi resiste.
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