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PRONTI, PARTENZA, VIA di Davide Fucci

 

Le misure di coercizione sociale ed economica dichiaratamente volte ad arginare l’espansione del contagio da COVID-19 non sono il frutto casuale ed imprevedibile dello stato d’emergenza in cui, di fatto, viviamo da più di un anno.

Lo stato miserevole in cui il già indebolito tessuto economico italiano versava prima del fatidico Marzo 2020 a causa delle politiche neoliberiste dell’ultimo ventennio, inaspritesi poi nell’Era Troika e Patto di Stabilità, si è rivelato terreno friabile nei confronti del fiume COVID-19, la cui azione altra non è stata che facilitatrice -casualmente, ma, si sa, in politica come nella storia umana il caso e l’occasione contano molto, soprattutto quando ci sono già le premesse per cui esso si manifesti favorevolmente ad esse- rispetto all’indirizzo che le cose avevano già preso.

Gli squilibri economici interni all'Eurozona, determinati dalla valuta unica applicata su economie diversissime fra loro -ciò perché i meccanismi import-export interni venissero polarizzati verso le nazioni che avevano una moneta meno svalutata - nonché dall’impossibilità di ricorrere politicamente al controllo della banca centrale comunitaria, condizioni che hanno traslato le ricchezze del Sud Europa verso i frugali cugini nordici (come si diceva: economie a moneta svalutata vs economie a moneta forte, ricordando sempre che ogni stato sovrano svaluta o rafforza la propria moneta a seconda dei propri tipo e possibilità economici), non avrebbero portato a nessun’altra conclusione che quella vigente oggi, soltanto drammaticamente accelerata dalla variante pandemica.

È chiaro che non si esca dall’imbuto in cui si sta precipitando, più o meno consapevolmente (quando il pane manca è difficile non accorgersene: si vedano le proteste del movimento IOAPRO, a Roma), con la stessa ricetta economica che vi ci stava portando.

La soluzione a questo problema è stata presto trovata: se la pandemia ha evidenziato la vera e fondamentale costruzione sociale contemporanea (la polarità garantiti vs non garantiti), rendendo patente quel conflitto percepito ma espresso più come una sorta di ironia che non altro, le piazze di non-garantiti verranno placate con un’ulteriore divisione.

Tra i non-garantiti, saranno istituiti i ristorati; alcune categorie di non-garantiti, cioè, riceveranno la salvezza (la boccata d’ossigeno prima di essere messi con la testa sott’acqua quando saranno sacrificabili di nuovo), mentre i non-ristorati saranno destinati alla quiescenza fatale, portando avanti la politica liberista di massificazione e distruzione di quel piccolo ceto imprenditoriale che ha fatto la fortuna economica del nostro Paese.

Questa operazione -che certo sarà prossima, perché l’innato spirito corporativista di ogni padrone di bottega arriverà a comprendere quanto i ristori non servano neppure al pagamento degli arretrati, quanto il rilancio possa dipendere soltanto da un piano economico espansivo con emissione di moneta sonante (o frusciante, o luminosa), rendendo impossibile divide et impera di chi siede sugli scranni curuli– distruggerà il fronte che si è momentaneamente ed instabilmente unito in nome della sopravvivenza.

Il nostro compito storico, oggidì, è tenere unito questo fronte, compattarlo, fornirgli consapevolezza politica e, quindi, unità di scopi e di mezzi, in attesa che quest’azione ed i tempi propizino l’occasione di una svolta necessaria, pena la distruzione del nostro tessuto economico come oggi resiste.


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