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PROBLEMI DEL DDL ZAN. CONSIDERAZIONI POLITICO-IDEOLOGICHE di Emanuele Quarta



Riprendiamo da "La Riscossa"

Nelle ultime settimane il dibattito politico si è concentrato massicciamente sull’approvazione a breve del DDL Zan.


Il DDL (disegno di legge) in questione mira a penalizzare tutti quegli atti, fatti o comportamenti istigatori di violenza o odio per motivi attinenti l’orientamento sessuale o l’identità sessuale.


Nello specifico, il disegno di legge prevede una modifica agli articoli 604bis e 604ter del codice penale, che puniscono (il 604bis) “propaganda ed istigazione a delinquere per motivi di discriminazioni razziali e religiosi”; mentre il 604ter prevede delle circostanze aggravanti nel caso di reati commessi per gli stessi motivi di discriminazione razziale e religiosa.


Il ddl Zan prevede, come si diceva prima, una aggiunta, una nuova fattispecie: “oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.


Quindi si prevede di una nuova fattispecie penale in aggiunta alle motivazioni di odio razziale e religioso.


 


La “volontà del legislatore”, per usare una perifrasi tipica dei giuristi, sottesa a questa riforma dell’articolo 604bis e ter è, evidentemente, quella di tutelare quella fascia di popolazione rientrante nella comunità LGBT+ che da sempre, purtroppo, subisce discriminazioni o violenze per il solo motivo di esprimere un orientamento sessuale diverso o identità di genere diversa. È innegabile che si tratti di atti deprecabili e ovviamente da punire con la massima severità; tuttavia il ddl Zan non fa nulla di tutto questo ma, anzi, rischia di dar vita ad altre discriminazioni, quanto meno a livello giuridico.


Infatti, analizzando la disposizione del ddl Zan, un occhio esperto si rende subito conto che si parificano due situazioni diverse, attribuendone uguale tutela.


Perché le discriminazioni di carattere sessuale, benché gravi e oltraggiose, non possono essere in alcun modo paragonabili alle discriminazioni di carattere etnico, razziale e religioso: l’odio etnico ha portato nel corso dei secoli all’attuazione di eccidi e vere e proprie pulizie etniche; l’etnia è diventata un’arma, uno strumento di geopolitica ed una strategia diplomatica (basti rivolgere lo sguardo ad Est, nella ex – Jugoslavia).


Sia chiaro, chi scrive ben ricorda la discriminazione che gli omosessuali subirono all’epoca di Oscar Wilde o Alan Turing – solo per citare coloro che salirono agli onori della cronaca – nella “democratica” e “liberale” Inghilterra, così come le persecuzioni in epoca nazista; e pretende una tutela contro le discriminazioni di carattere sessuale, ma quanto previsto dal ddl in questione è lontano anni luce dal raggiungimento dello scopo che il suo firmatario si è prefissato.


 


Altro motivo per il quale chi scrive è contrario al ddl Zan, risiede nell’omissione di una considerazione fondamentale: l’etnia è un fattore sociale; l’orientamento sessuale è un fattore privato, riguardante il forum internum, ossia tutto ciò che riguarda i sentimenti e le sensazioni spiccatamente private ed uniche di ogni singolo individuo. L’odio etnico crea una spaccatura all’interno del consesso sociale, una frattura insanabile nella societas che porta sempre ed irrimediabilmente allo spargimento di sangue, alla guerra ed alla pulizia etnica. L’odio per un orientamento sessuale, essendo quest’ultimo un fatto del foro interno, è una piaga frutto di una mancanza di educazione familiare e scolastica. Voler colpire la propaganda, significa voler colpire anche il dibattito – anche a livello scientifico – sull’identità di genere, sulla sua natura e su tutto quello che può implicare a livello medico, scientifico, psicologico e anche giuridico; la norma penale perde in tal modo tutta la sua forza deterrente e acquista carattere repressivo ed ideologico.


 


A livello giuridico si commette, quindi, un errore: parificare due situazioni diverse, trattandole in maniera uguale e commettendo in tal modo una discriminazione. In questo ci viene in soccorso la Corte Costituzionale con la sentenza 3/1957 nella quale afferma un principio rimasto immutabile: “trattamento di fatti uguali in maniera uguale; trattamento di fatti differenti in maniera differente”.


Questo principio, applicato al ddl Zan, mostra con una forza straripante ed evidente a tutti che parificare due fatti diversi – la discriminazione razziale e la discriminazione per l’orientamento sessuale – è una violazione del principio di uguaglianza stabilito dall’articolo 3 della Costituzione.


L’odio razziale ed etnico è un pericolo per l’umanità intera, perché rimane uno strumento propagandistico di chi vuole fomentare guerre per scopi tutt’altro che umanitari; la discriminazione sessuale è un odioso atto contro uomini e donne, ma è il frutto di una totale ignoranza della questione sessuale.


In aggiunta a questo, nella nuova fattispecie mancano del tutto i caratteri di determinatezza e tassatività tipici della norma penale; una gravissima mancanza che rischia di creare situazioni di grave abuso perché la definizione di “identità di genere” è fumosa, incerta ed aperta al dibattito.


Facciamo un esempio pratico per spiegare questo aspetto.


Chiunque domani può incontrare un individuo dalle sembianze fisiche e biologiche maschili, un corpo tipicamente maschile. Nel rivolgersi a questa persona, lo fa al maschile, indicandolo come un soggetto maschile. Tuttavia si trova davanti un soggetto che, benché fisicamente maschile, si considera una donna. Questi, dunque, potrebbe denunciare chi scrive per istigazione a delinquere per motivi fondati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.


Questo potrebbe succedere perché non esiste ad oggi una definizione chiara, precisa e concordante dell’identità sessuale. Ora, a prescindere dai risvolti politici e dai dibattiti nel mondo scientifico, l’indeterminatezza della definizione “identità di genere” porta irrimediabilmente ad estendere, in via analogica (estensione vietata dall’ordinamento penale italiano) questa norma a infinite situazioni che si vivono nel quotidiano.


Pensate ad una donna che si trova davanti un uomo che dice di essere una donna e pretende, ad esempio, di accedere a determinati istituti giuridici previsti solo per le donne; se questa donna si oppone, con la norma voluta da Zan e da tutto l’apparato della sinistra borghese pseudo-progressista, potrebbe essere denunciabile per istigazione a delinquere per motivi attinenti all’identità di genere. Ovviamente tutto questo è realmente deprecabile. Gli effetti liberticidi del ddl Zan sono, purtroppo, un rischio serio: chiunque potrebbe essere denunciato per aver espresso un parere contrario su alcune questioni riguardanti l’orientamento sessuale e l’identità di genere.


La pericolosità del ddl sta proprio in questo: nel voler ricondurre a fattispecie penale un fatto che riguarda solo il foro interno, creando gravi pericoli di limitazione della libertà di pensiero. Questo è il frutto di una tendenza che va avanti da una decina d’anni, ossia la politicizzazione del diritto, il diritto quale strumento di propaganda politica e non più strumento ordinatore della sfera sociale.


 


Analisi ideologica e culturale in calce.


Brevemente, a conclusione di questa dissertazione, bisogna un attimo guardare dall’ottica marxista il dibattito sorto attorno a questa norma.


Chiaramente dal punto di vista della lotta di classe, la legge non risolve in alcun modo i problemi della classe lavoratrice rientrante nella comunità LGBT. Parlando senza peli sulla lingua, questa norma non cambia di una virgola la condizione di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici omosessuali: potranno pure appellarsi a questo nuovo strumento di tutela, ma agli occhi di chi li sfrutta rimangono solo uno strumento per arricchirsi. In tal caso, il rischio che tali dibattiti possano dividere il campo dei lavoratori è davvero elevato. Si badi bene, è necessario affrontare la piaga delle discriminazioni di carattere sessuale, ma non bisogna cadere nel tranello della polarizzazione voluta dal potere e dalla classe dominante: si rischia di dividere il mondo fra eterosessuali ed omosessuali, quando in realtà la divisione è fra sfruttatori ( etero ed omosessuali) e sfruttati (etero ed omosessuali).


Infine, è necessaria una seria implementazione della “educazione sessuale” nelle scuole in un Paese in cui ancora oggi, è tabù parlare di aborto, profilattici ed attività sessuale, sia in casa che a scuola. La soluzione, quindi, non è “criminalizzare” il pensiero contrario all’omosessualità; la soluzione è l’educazione, educare all’esistenza della sessualità di ogni tipologia o genere.


Solo l’educazione spazza via le discriminazioni, le quali – è ormai evidente – sono figlie della società capitalistica fondata esattamente sullo sfruttamento e sulle discriminazioni di ceto sociale,  razziali, etniche, sociali e sessuali.

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