La questione vaccinale ha fatto sorgere numerose polemiche
riguardanti diverse problematiche connesse alla produzione e distribuzione del
farmaco, oltre ad alcune perplessità di carattere etico-giuridico
sull’eventuale obbligatorietà di somministrazione dello stesso. La natura del
problema è così ampia che non basterebbe una biblioteca intera per discuterne
in modo approfondito. In questa sede ci si limita ad analizzare la scelta
dell’Unione Europea di conferire ad alcune aziende l’autorizzazione alla
produzione e le relative conseguenze in ambito economico-giuridico. La messa in
commercio di un farmaco, infatti, è accompagnata alla contestuale copertura
brevettuale dello stesso. È dunque necessario soffermarci sul significato che
ricopre la concessione di un brevetto in capo ad un soggetto e sui costi
sociali che determina tale copertura per poter capire appieno il guadagno (o la
perdita) che ne deriva per la collettività. È bene tener presente fin da ora
che un brevetto attribuisce un potere economico di tipo monopolistico al suo
titolare, ma che il fine è quello di aumentare il benessere di tutti e non le
sole casse dell’innovatore, altrimenti il fine ultimo della copertura stessa
viene meno.
Il brevetto è un istituto giuridico che attribuisce in capo
al titolare il diritto esclusivo di sfruttare economicamente il bene oggetto
della protezione. In parole più digeribili, il proprietario di un brevetto ha
il diritto di godere dei vantaggi economici derivanti dalla sua opera
innovativa, questo diritto spetta a lui soltanto e nessuno può utilizzare il
bene oggetto della protezione brevettuale senza pagare un corrispettivo. Ma
perché esiste il brevetto? O meglio, perché in una società è necessaria la
presenza di questo strumento giuridico? Qual è la sua ratio?
Facciamo un passo indietro: conferire un brevetto ad un
soggetto giuridico comporta dei costi e dei benefici, come tutto del resto.
Nella nostra società il progresso in senso
tecnico-scientifico rappresenta un fine principale, se non ultimo, de facto,
della vita comunitaria. In tal senso, è opportuno incentivare il progresso
mediante il continuo sviluppo di nuove tecniche, nuovi modi di produzione,
nuovi prodotti che configurino un avanzo dello stato della tecnica
vigente e, di conseguenza, apportino un vantaggio in termini di utilità
sociale. Perché, è bene ricordarlo, non abbiamo ancora trovato un modello
migliore per stimare il benessere individuale, e quindi della società tutta, se
non quello dell’utilità; infatti, prendendo per oro colato l’idea Benthamriana,
il benessere di un cittadino si misura in termini di utilità e questa viene calcolata
in senso squisitamente economico: qualcosa è utile, e quindi accresce il
benessere generale, se aumenta la ricchezza individuale e collettiva, e
soprattutto se lo fa in modo efficiente.
Questa premessa non è meramente didascalica: le scelte
politiche seguono modelli e consigli economici che si basano su queste
strutture di pensiero, quindi le ricadute in termini reali e concreti
colpiscono, nel bene e nel male, tutti noi, e non possono essere trascurate.
L’ultima epopea vaccinale ne è un chiaro esempio.
Ritornando dunque alla domanda originale, per giungere ad
un’innovazione consistente (dettagliatamente definita dalla legge) è necessario
investire in ricerca e sviluppo, e questo comporta costi notevoli in capo al
soggetto innovatore. I frutti della sua opera andranno poi a beneficio della
collettività tutta: degli individui, che ne trarranno beneficio dal consumo
diretto, e dei competitors, che potranno attingere al suo know-how (“il
come si fa”, per dirlo alla nostrana). Ora, il brevetto serve proprio a far si
che l’innovatore possa godere in termini economico-finanziari dei risultati
dell’opera del suo ingegno, perché altrimenti egli non investirebbe in ricerca
e sviluppo, il progresso non ci sarebbe, il beneficio neppure ecc… il quadro è
completo: volete il progresso? Il progresso si paga, e lo paghiamo tutti
insieme, fin qui tutto bene.
Un brevetto ha però anche dei costi in termini sociali dal
momento che la sua applicazione conferisce al soggetto titolare un potere di
sfruttamento economico di tipo monopolistico, il che rappresenta una perdita in
termini di utilità, giustificata dai motivi già descritti chiaramente, ma che
si configura pur sempre come un costo economico. In una società la presenza di
un monopolio significa non poter godere dei vantaggi economici derivanti da una
sana concorrenza di mercato: i consumatori pagheranno un prezzo molto più alto
di quello concorrenziale, ed il produttore offrirà una quantità minore rispetto
a quella ottimale per il mercato (teoria economica di base). Ovviamente
esistono dei correttori volti a limare questa situazione spiacevole nei mercati
in cui si scambiano beni “delicati”, come dovrebbe essere quello dei farmaci in
generale e dei vaccini in particolare. Ma non si entrerà nel dettaglio tecnico.
In estrema sintesi, per valutare l’eventualità di coprire
un’innovazione mediante una tutela giuridica come il brevetto è necessario
uguagliare i costi ai benefici attraverso una semplice equazione: se i costi
superano i benefici il brevetto non s’ha da fare, viceversa si. L’uguaglianza
perfetta rappresenta l’ottimo sociale (la chimera paretiana). Come valutare in
termini matematici questi concetti che di matematico hanno ben poco è una questione
annosa che non verrà qui commentata.
Questa tediosa descrizione era necessaria per capire, almeno
in superficie, le fondamenta socio-giuridiche su cui si basa la copertura
brevettuale e poter coscientemente analizzare il caso di specie.
La commissione europea, per far fronte alla necessità di
supportare un’adeguata offerta di vaccini, ha stipulato contratti con case
farmaceutiche le quali si sono impegnate a produrli in cambio di compensi
adeguati garantiti da copertura brevettuale e, si badi bene, finanziate con
soldi pubblici. Soldi nostri.
Senza entrare nel merito del paradosso etico in cui versa
una società che in un momento di pandemia ed emergenza globale affidi a privati
la produzione dei vaccini, e li lasci liberi di commerciarli come fossero
patate al mercato (forse più regolato di quello vaccinale… scherzo...non poi
così tanto) in questa sede si analizza la coerenza con quanto detto sopra e si
applica la semplice equazione costi-benifici tanto cara all’analisi
utilitaristica.
I benefici derivanti dal vaccino potrebbero essere molto
elevati e difficilmente quantificabili: debellare un virus temibile e
pericoloso significherebbe poter ritornare alla vita di prima: consentire ai
bambini di tornare a scuola, ai piccoli e medi imprenditori di lavorare (quelli
grandi continuano a lavorare), ai teatri e ai cinema di aprire e in generale
alle persone di tornare a sorridere, abbracciarsi e avere fiducia nel mondo
senza più paura del prossimo. Sarebbe bello, peccato che non è così. Eh già,
perché basta spulciare i bugiardini dei vaccini o leggere le raccomandazioni
delle varie società di vigilanza “indipendenti” per capire che questo vaccino
-il primo nella storia- non solo non assicura la non trasmissione della
malattia, come si era detto in un primo momento, ma addirittura non è
attualmente certo se la sua somministrazione immunizzi il soggetto che la
riceve. Di contro, per stare un po' più tranquilli, non si sa quali potrebbero
essere gli effetti a lungo termine. Lascio all’intelligenza del lettore la
valutazione di questi fattori.
Veniamo ora ai costi (eh si, perché questi erano i benefici).
Le aziende farmaceutiche sono state sovvenzionate con ingenti finanziamenti
pubblici ed il vaccino, secondo alcune stime, dato che a nessuno è concesso
sapere, costa in media 10 euro per dose. Nonostante qualcuno abbia il coraggio
di dire che i vaccini sono gratuiti, i soldi dell’Unione europea sono soldi di
tutti i cittadini, anche se ormai ce lo siamo dimenticato. Le aziende hanno
richiesto l’immunità legale, il chè significa che in caso di effetti avversi da
vaccino sarà difficile ricorrere contro l’azienda stessa e, pertanto, il
malcapitato non avrà vita facile per ottenere un risarcimento, che sarà in
parte coperto dall’aziende che lo causato e in parte dal governo, con ulteriore
esborso di soldi pubblici, gli resterà però la possibilità di chiedere una
grazia a Santa Caterina o fare un viaggio a Medjugorje, sempre se le
limitazioni lo permetteranno. Come se
non bastasse, i contratti fra la Commissione e le case farmaceutiche sono
secretati e non è possibile conoscerne le condizioni, alla faccia della
trasparenza e della legalità tanto decantate da Von Der Leyden e soci.
Sottolineo poi, in questa cascate di cacca, (da me si dice: “quann chiov merd,
nun so maj doj gocc”) che qualora il vaccino dovesse essere reso obbligatorio de
iure o de facto attraverso strumenti coercitivi ed intimidatori,
come già sta accadendo, i costi sociali in termini di perdita di libertà
sarebbero parimenti inqualificabili come gli eventuali benefici che si
avrebbero da un vaccino realmente funzionante.
Dunque, agli ingenti costi in termini economici e sociali si
devono sommare i benefici (se ci fossero). Procediamo allora insieme in modo
analitico e riempiamo questa bella equazione:
Benefici: dubbia immunità a breve termine e copertura a
medio termine molto probabilmente assente.
Costi: 10 euro medi per dose (moltiplicati per centinaia di
milioni di dosi), parziale impossibilità di rivalersi sulle aziende in caso di
effetti avversi, impossibilità di conoscere il contenuto dei contratti, perdita
di libertà individuale e collettiva.
Personalmente la bilancia mi sembra evidentemente
squilibrata nel verso dei costi, ma sono sicuro che il mio campo visivo sia
limitato da deliri personali, forse un anno di lockdown hanno irrimediabilmente
compromesso la mia capacità di giudizio e pertanto vi invito ad eccepire e
contestare quanto detto, così da farmi rinsavire. Forse l’utilità di questi
vaccini “anti-covid” esiste, certamente, è quella che va a rimpinguare le casse
delle Big Pharma a danno delle nostre.
Ovviamente queste considerazioni non sarebbero più valide
qualora fosse creato un vaccino che conferisca una reale immunizzazione contro
questo virus che, giusto per ricordarlo, non è stato ancora totalmente isolato
ed è soggetto per sua stessa natura a continue mutazioni. Un po' come voler
cercare di fermare un fiume in piena con degli stuzzicadenti.
Se a qualcun altro invece questo articolo ha suscitato
qualche dubbio, vi rimando alla pubblicazione della settimana passata (clicca
qui) in cui è analizzata la struttura dell’OMS e le relazioni che intercorrono
con le aziende farmaceutiche, oppure a svolgere una ricerca in merito. Forse la
circostanza che i proventi dell’EMA, stando al bilancio 2020, provengano per
l’80% da aziende farmaceutiche, o che l’OMS sia finanziata per il 75% da
soggetti privati operanti nel settore della produzione e della distribuzione
del farmaco potrebbe essere un ottimo spunto per riflettere sulla questione.
Credo che alcuni dubbi riguardo l’utilità di questi vaccini potrebbero essere
così dissipati, e sarebbe un’ottima occasione per farne nascere di nuovi.
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