Non ricordo di preciso quando ho iniziato ad interessarmi – in modo amatoriale, s’intende- alle modalità ed alle tecniche di comunicazione dei mass media, ed ai loro effetti sulla popolazione. Forse quando la mia professoressa di matematica del liceo mi disse che i giornalisti parlano tutti con lo stesso tono piatto ed asettico, forse quando a 18 anni lessi 1984 di Orwell, forse quando un amico mi disse di guardare i telegiornali silenziando l’audio e prestando attenzione solo alla mimica ed al linguaggio del corpo dei figuranti, forse quando viaggiando mi resi conto che il format dei telegiornali, i contenuti, le parole scelte e la regia sono pressoché gli stessi in tutte le parti del globo “civilizzato”, o forse ancora quando lessi Chomsky e le sue brillanti osservazioni sulle tecniche di comunicazione dei media e dei governatori.
Probabilmente è stato un mix di tutte queste esperienze, più
o meno consapevoli, che mi ha portato a riflettere a fondo sul significato
della comunicazione di massa e sul significato dell’atto stesso di informare. A
cosa serve l’informazione? Qual è l’obiettivo che vuole raggiungere chi impacchetta
quotidianamente notizie attraverso le varie forme di comunicazione al pubblico?
Lungi da me credere che l’obiettivo sia quello di istruire ed informare
positivamente i cittadini (sono un inguaribile diffidente lo so), le risposte
che ho trovato puntano tutte verso la stessa direzione.
Informare è controllare, indottrinare è controllare. Un
popolo ignorante, o meglio, un popolo che coltiva soltanto il sapere inoculato
sapientemente con il contagocce attraverso una precisa e metodica propaganda, è
un popolo facile da gestire, è un popolo mansueto, un popolo complice. Possedere
e dirigere i canali di comunicazione significa poter dirigere il pensiero e le
abitudini della popolazione, e questo lo sanno bene i proprietari delle stesse,
che nella maggior parte dei casi sono fra gli uomini più ricchi e potenti del
mondo. “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni” affermava Nietzsche. Nessun
fatto può essere raccontato senza essere minimamente distorto, non esistono
versioni oggettive di un evento e, pertanto, qualsiasi tentativo di rappresentarlo
crea una nuova realtà che segrega dall’evento stesso. I fatti possono soltanto
essere esperiti e non raccontati. Anche se un ambasciatore si prefiggesse l’obiettivo
di narrare un fatto nel mondo più oggettivo possibile incapperebbe
nell’inevitabile contraddizione appena descritta, è evidente allora che aberrazioni
mostruose può produrre un’informazione mediatica che, al contrario, si prefigge
sistematicamente lo scopo di deviare la narrazione per fini politici ed
economici.
Da quando l’avvento della comunicazione istantanea ha
permesso all’industria dell’informazione di raggiungere in ogni istante ed in
ogni luogo qualsiasi individuo sulla faccia della terra, e da quando noi tutti
abbiamo accettato ed accolto di buon grado questa possibilità, le conseguenze
appena descritte sono cresciute in modo esponenziale. È vero, la rete offre
possibilità a chiunque di diffondere il proprio pensiero e, teoricamente, offre
infinite possibilità di condivisione, ed è così che probabilmente i fautori dell’open-source
immaginavano il mondo del futuro: un mondo libero dalla schiavitù dell’informazione,
un mondo dove la crescita culturale potesse essere raggiunta in modo collettivo
e gratuito e dove le reti di informazione fossero magari di dominio pubblico, e
non proprietà di colossi dell’editoria e della comunicazione. Chiaramente la
storia è andata diversamente.
I mezzi di comunicazione sono nelle mani -almeno in Italia-
di una cerchia ristretta di grandi imprenditori titolari di poderosi patrimoni
e di investimenti di varia natura in diversi settori dell’economia: la famiglia
Berlusconi con il gruppo Mondadori e la Mediaset, la famiglia
Elkann-Agnelli (John Elkann siede spesso ai tavoli del gruppo Bilderberg) possiede
due dei tre quotidiani più letti in Italia oltre ad una serie lunghissima di
rotocalchi locali e delle principali emittenti radiofoniche , il Gruppo
Editoriale RCS, per buona parte nelle mani di Urbano Cairo, controlla i
quotidiani Corriere della Sera” e La Gazzetta dello
Sport. I conflitti d’interesse sono talmente evidenti che risulta
superfluo sottolinearli.
Va da sé che la
scelta di cosa, come e quando pubblicare o trasmettere sia un’operazione
altamente pianificata e che risponda a precisi scopi. Credere che “i
professionisti dell’informazione” (fra i quali si vanta di appartenere anche
Mentana, quello che ha scambiato l’assalto a Capitol Hill con il film Project
X, ma questa è un’altra storia) siano attori benevoli interessati alla formazione
e alla crescita culturale dei cittadini è una bellissima fiaba per bambini da
raccontare loro prima di andare a dormire, ma è molto lontana dalla verità.
Qualche lettore potrebbe obiettare che non si tratta della
scoperta dell’acqua calda, ma che sia una storia vecchia come il mondo, e
allora io rispondo: perché mai allora continuiamo a leggere i giornali ed
ascoltare le notizie alla tv, pur consapevoli degli enormi conflitti di
interesse che albergano dietro i servizi d’informazione gentilmente offerti?
Perché accettiamo di lasciarci ipnotizzare quotidianamente dalla
disinformazione metodicamente organizzata? Perché plasmiamo la nostra vita, i
nostri gusti, le nostre abitudini in conseguenza agli impulsi che riceviamo
ogni giorno? Le domande sono ambiziose lo so, molti pensatori potrebbero riempire
pagine intere con analisi in chiave psicologica e sociale delle cause che
concorrono a questo assurdo fenomeno della nostra epoca, eppure anche da
considerazioni semplici -ma non semplicistiche- si può arrivare a sottolineare
il folle giogo cui siamo tutti condannati.
Delle due l’una dunque: o ne siamo consapevoli e proviamo un
sadico piacere nel farci fulminare le sinapsi, oppure crediamo davvero alle
notizie che riceviamo giornalmente e, soprattutto, ai motivi per cui vengono diffuse.
Tertium non datur direbbero i latini… ma forse in questo caso si
sbaglierebbero, in questo caso un tertium c’è. Non sono fino in
fondo corrette nessuna delle due ipotesi, bisogna attingere un po' dall’una ed
un po' dall’altra per capire in che stato versiamo noi tele-consumatori -non
siamo noi i consumatori, noi siamo consumati, la merce siamo noi-; la “verità”
è che siamo perennemente distratti, peggio siamo ipnotizzati.
Siamo
ipnotizzati dalla miriade di impulsi che riceviamo diariamente dagli schermi
luminosi che circondando la nostra esistenza, e che ci dirigono come la voce di
un’analista conduce lo stato ipnotico del suo paziente. Siamo distratti dalle
serie tv, da X-factor, dal campionato di Serie A, dalla Durso, dallo
scioglimento dei ghiacciai e dalla plastica, ed infine -dulcis in fundo-
siamo terrorizzati a morte. Il linguaggio del poter non fa sconti, è subdolo,
paziente, è costante e non si arrende mai; è sempre lì a portata di mano, ci
accompagna durante i pasti, ci culla prima di andare a dormire e ci dà il
buongiorno al mattino, è un padre diligente ed attento, e noi i suoi docili
figlioletti. Le modalità di trasmissione delle informazioni seguono delle
logiche e puntano a precisi scopi, per raggiungerli è necessaria
un’applicazione rigorosa delle tecniche comunicative. Infatti, ad un occhio
attento, guardando ed ascoltando le notizie al telegiornale sono rintracciabili
sempre le stesse caratteristiche: il linguaggio utilizzato è spesso
incomprensibile e monco, le parole sono astratte ed indefinite, il tono del
conduttore è piatto, ed i contenuti mirano sempre ad indurre negli spettatori
uno stato di allerta ed apprensione. Sfogliando poi le pagine dei principali
quotidiani la situazione non migliora, le analisi dei fatti raccontati sono
spesso superficiali, riduzioniste e sensazionaliste, l’inchiesta è quasi
sparita in favore di un servilismo incondizionato (sarà perché i datori di
lavoro sono i più potenti uomini del Paese?), e da quando non si sfoglia più
nulla ma si clicca alla pagina seguente queste evidenze sono ancora più
lampanti.
Ascoltando ed osservando un discorso politico, ormai
apprezzabile solo attraverso dirette televisive o live su Facebook che rendono
ancor più impersonale la relazione con i cittadini ed aumentano il senso di
impotenza degli stessi, risulta evidente il metodo universale applicato dai
vari burocrati cresciuti a pane e distopia: trattano il volgo come un genitore
assennato ma severo tratterebbe i suoi bambini, utilizzando parole dai toni
decisi ma prive di sostanza, incomprensibili per le giovani orecchie degli
interlocutori. Il leitmotiv è sempre lo stesso: voi non capite perché,
ma noi si, e lo facciamo per il vostro bene.
Le parole scelte ci lasciano sempre interdetti, ma non le capiamo perché
gli esperti sono loro, sanno loro cosa fare, e noi glielo lasciamo fare.
L’utilizzo delle parole è coadiuvato dall’atteggiamento austero e deciso, a
tratti sofferente per le dure ma necessarie vessazioni che sono costretti -loro-
a rifilarci, del resto si sa, fare il genitore non è semplice, è difficile dire
di no. I figuranti appaiono sempre in controllo delle loro emozioni, duri e
determinati come robot, non lasciano trasparire un’emozione, un singolo
sussulto, sono sempre impeccabili, sempre rigidi, ineffabili, sono dei militari
addestrati, ma non hanno frequentato la scuola oratoria ciceroniana bensì
quella del controllo mentale di V per Vendetta. I discorsi puntano sempre a
colpire la sfera emotiva e non quella intellettuale degli uditori, e
quest’ultimo anno rappresenta un brillante esempio di questa tecnica, perché
non bisogna mai incentivare il ragionamento critico individuale, ma favorire il
ribollire delle emozioni più ancestrali dell’uomo, che nelle masse esplodono incontrollate
e vincono la razionalità del singolo. Un gruppo di individui pensanti è
difficilmente controllabile, una massa guidata da sole emozioni può essere
indirizzata a proprio piacimento come mucche al pascolo, ce lo insegna Edward
Barneys.
Nonostante le criticità riscontrate, il mondo
dell’informazione non è solo questo, non è fatto soltanto di grandi editori e
di manipolazione. Negli ultimi tempi sono sbocciati come gemme in Primavera
moltissimi movimenti indipendenti, costituiti da singoli o da gruppi di uomini
liberi che, stanchi di vivere in questa gabbia illusoria, hanno deciso di
provare a frenare questo oceano in tempesta e di contrastare l’unidirezionalità
del flusso (dis)informativo. Il mondo del web è costellato di blog e pagine di
informazione alternativa che si oppongono al main-stream; non sono
“professionisti dell’informazione” è vero, non possiedono grandi capitali alle
spalle né tantomeno sono spinti da interessi di natura economica, ed è proprio per
questo che meritano di essere presi in considerazione, se non altro per ascoltare
qualche voce dissonante dal coro. Si basi bene, non intendo dire che qualsiasi movimento
di “controcultura” sia valido ed autorevole, questo lo lascio al giudizio del
lettore, ma che esiste un mondo alternativo che combatte in modo disinteressato
l’esercito dei media al servizio del capitale -questo si, interessato e
complice-, spinto dall’amor del vero e dalla voglia di plasmare un mondo più
libero.
invito tutti a notare la differenza di analisi, di
approfondimento, di cultura che c’è fra la media dei blog cui faccio
riferimento (ne sono un esempio L’intellettuale dissidente, L’antidiplomatico,
Sinistra in rete, per citarne alcuni) e la stragrande maggioranza dei
quotidiani e dei telegiornali “professionali”.
Liberiamoci dalle catene ed usciamo dallo stato narcolettico
in cui vegetiamo. Spegniamo le televisioni e accendiamo la mente.
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